

Attualità
L'evento promosso dalla Polizia Postale al Teatro Filo di Cremona
Cyberbullismo, il compito che ci ha consegnato Carolina
«Tecnologia usata come prigione. Serve l'educazione digitale»
Qual è il ruolo delle emozioni e qual è il peso delle parole? Da questa domanda non si può fuggire. Le emozioni sono la sostanza della nostra umanità, le parole gli strumenti con cui la costruiamo: una parola può sollevare chi cade o spingere oltre il baratro. Non esistono parole innocenti: ognuna lascia un segno, nella mente, nel cuore, nel destino di chi la riceve.
Fondazione Carolina nasce dalle parole di una vicenda tragica che ha come protagonista Carolina Picchio - da cui prende il nome - prima vittima italiana di cyberbullismo, riconosciuta dalla giustizia. Ha solo 14 anni quando, il 5 gennaio 2013, decide di togliersi la vita, gettandosi dalla finestra della sua camera, dopo essere stata travolta da un'ondata di violenza online, che non è riuscita a scardinare. Da allora, il padre Paolo e l’intera Fondazione, di cui è Presidente Onorario, portano avanti una battaglia culturale, educativa e formativa, con l’obiettivo di prevenire le derive del web e dare ai giovani strumenti di consapevolezza e libertà digitale. Da quella notte di quasi 13 anni fa, tutto cambia nella vita di Paolo Picchio che oggi viaggia e si spende, incontra e discute, scuote ed emoziona con parole semplici che sanno farsi strada, perché sono la viva testimonianza di un uomo che non si è lasciato vincere dal dolore, ma che, anzi ha trasformato in una battaglia di civiltà. All’evento tenutosi a Cremona il 28 ottobre - intitolato “Oltre le chat”, promal dalla Polizia Postale di Cremona, oltre che dal nostro settimanale e da CR1, alla presenza di molti studenti, anche in collegamento su YouTube e di rappresentanti della Polizia di Stato, in vece del Questore e del Prefetto e del Dirigente dell’Ufficio scolastico regionale, che hanno l’onere dei saluti iniziali - Paolo Picchio è il primo ad iniziare, senza toni retorici, animato soltanto da grande umanità e consapevolezza.
![La platea di studenti durante il convegno [foto Betty Poli]](https://mondopadano-naxos-space-250gb.fra1.cdn.digitaloceanspaces.com/mondopadano/stories/2025/10/30/internals/270f4fdd-79d2-4697-a6ea-1f2e2db7addb.jpg)
PAOLO PICCHIO
«Oggi sono qui per farvi capire che la storia di Carolina parla a ciascuno di noi», esordisce, raccontando sua figlia, una ragazzina come tante, alla sua età: bella, intelligente, solare, brava a scuola e soprattutto sportiva. «Aveva appena vinto i campionati regionali di salto in alto, eppure tutto è precipitato così in fretta, in silenzio, nel buio dello schermo di un telefono». Le cause? L’invidia e la gelosia. All’inizio qualche presa in giro, qualche parola denigratoria. Fino ad una festa, in cui alcuni coetanei la fanno ubriacare, lei perde i sensi in un mix di alcol - e forse droga - ed in cinque approfittano di lei, mentre è priva di sensi, ne abusano, la filmano. Al risveglio, lei non ricorda, continua a vivere come se nulla fosse successo, disorientando anche i suoi aggressori che, non soddisfatti, postano su tutti i social quel video, che diventa un’arma di distruzione. In quel momento, qualcosa nella ragazzina si spezza: sa di essere diventata attrice inconsapevole di un filmato, in cui il suo corpo viene umiliato e brutalizzato. «Si è sentita perforata nell’anima», dice il padre. Poi l’inferno. Insulti, migliaia in pochi minuti. Un linciaggio digitale. Carolina rimane sola.
Chiusa nel suo dolore, senza sapere a chi chiedere aiuto, abbandonata anche dagli amici più cari. «Si è tolta la vita, ma solo poche ore prima mi aveva chiesto se potevo iscriverla ai campionati studenteschi», ricorda il padre con straziante lucidità. Prima di morire, Carolina lascia sul comodino una lettera tragica e a tratti ironica, ma di denuncia, con una frase che risuona a futura memoria: «Le parole fanno più male delle botte». La vicenda produce un terremoto: per la prima volta in Italia ed Europa, alcuni minorenni vengono indagati e processati per cyberbullismo, violenza di gruppo e diffusione di materiale pedo-pornografico. «Non chiamiamole più “ragazzate”. Sono reati e devono avere specifiche conseguenze», spiega Picchio. Da quella tragedia nasce la Legge 71/2017, la prima per prevenzione e contrasto al cyberbullismo, diffusamente spiegata dalla dottoressa Manuela De Giorgi della Polizia di Stato. «Una legge che è stata approvata all’unanimità. Quel giorno tanti applausi, ma io avevo perso la mia vita».
Nel silenzio della platea, Paolo Picchio spiega come sia riuscito ad elaborare il suo lutto, scegliendo di far nascere qualcosa di prezioso: una nuova possibilità. «Ognuno di voi, ragazzi, è un’opera d’arte», afferma con convinzione. «Non permettete a nessuno di scalfire la vostra unicità. Ricordate che a volte basta un click per salvare una vita. Basta dire no. Basta non condividere. Basta non ridere. Basta schierarsi dalla parte giusta. Sapete qual è la frase più terribile? “Chi se ne frega”. E io non ci sto».
Picchio non fa sconti a nessuno, soprattutto agli adulti: «Oggi troppi parlano di ragazzi, ma pochi parlano con i ragazzi» ed ancora: «Non potete mettere in mano uno smartphone - strumento potentissimo - a un ragazzo, senza dargli le istruzioni per l’uso». Il suo intervento si chiude con un’esperienza che tutti incamerano come un pugno nello stomaco: «Un ragazzo mi ha fermato dopo un incontro dicendomi di essere stato un bullo e che il mio intervento lo aveva fatto riflettere. Mi ha detto di aver capito di essere stato un cretino, eppure mi ha lasciato con una considerazione: “Quello che fa è bellissimo, ma inutile. Perché cerca di fermare il mare con una mano”. Ho risposto: “Convincere anche uno solo vuol dire fare tanto”. Ed io ci credo davvero». Così come crede nella forza di un abbraccio, nell’implicito messaggio che questo gesto, che facciamo di rado, porta con sé e che è capace di ricostruire ciò che le parole hanno spezzato, di curare ferite che nessuno vede. «Abbracciate i vostri genitori, fatelo subito, comunicate amore», conclude Picchio, forse pensando a Carolina.
![Paolo Picchio, presidente onorario della Fondazione Carolina [foto Betty Poli]](https://mondopadano-naxos-space-250gb.fra1.cdn.digitaloceanspaces.com/mondopadano/stories/2025/10/30/internals/b4a16473-8726-4bf8-a7b0-90603804c712.jpg)
PAOLO BOSSI
Gli fa seguito il dottor Paolo Bossi, formatore della Fondazione che richiama la vicenda di Carolina per ricordare che tra la vita e la morte di una persona c’è lo spazio di una scelta: quella di intervenire, di segnalare, di aiutare. «Tra il video e la tragedia c’è stato un tempo in cui qualcuno avrebbe potuto fare la differenza, quel qualcuno, in situazioni analoghe, potremmo essere noi», poiché non è Internet il problema: il problema è l’assenza di cultura digitale, di educazione emotiva, di responsabilità sociale. «La vera domanda non è cosa fa il web, ma cosa facciamo noi adulti accanto ai giovani ed educare oggi significa, più che mai, insegnare a scegliere: dentro e fuori dallo schermo». Viviamo in un tempo in cui il digitale è l’ambiente naturale in cui gli adolescenti crescono: non più solo strumento, ma “luogo” in cui i ragazzi costruiscono identità, relazioni, linguaggi, emozioni. Cosa accade quando questo spazio virtuale si trasforma in una trappola di isolamento, ansia, pressione sociale e confusione identitaria? Soprattutto, come rispondere alla pressante domanda: “Io chi sono?”. Le difficoltà dei ragazzi passano sempre più spesso per i loro dispositivi. Stante la dipendenza, «uno dei maggiori problemi è l’isolamento, prima scolastico, poi sociale. Ci sono ragazzi che smettono di andare a scuola, si chiudono in camera, costruiscono un mondo parallelo online. Da lì rischiano di perdersi». Così come per gli hikikomori, la tecnologia diventa rifugio e prigione e l’educazione digitale resta l’unica via che ne consenta la trasformazione da minaccia in risorsa. «Cosa facciamo noi della Fondazione? Incontriamo», dice Bossi riassumendo un complesso lavoro, appannaggio del Centro Re.Te - Recupero Terapeutico - progetto che interviene sulle difficoltà digitali degli adolescenti e delle loro famiglie. «Incontrare significa ascoltare, capire, aprire strade. Non giudicare, ma dare possibilità. Stiamo assistendo ad una pericolosa gestione dell’identità online», spiega, «in cui tutti sembrano essere frammentati ed ogni ragazzo che conosciamo ha più di un profilo online: due, tre, cinque, addirittura abbiamo incontrato una ragazza che ne aveva dodici! Ogni profilo, racconta una parte diversa di sé: il primo è quello “pulito”, socialmente accettabile, poi c’è quello privato, per gli amici stretti, poi c’è quello segreto, per sfogarsi o condividere pensieri intimi e via così. Ma cosa accade quando anche solo uno di questi viene attaccato o distrutto? A soffrire resta l’individuo, quello in carne ed ossa, in tutta la sua interezza». Ancora Bossi: «Se scrivo a un amico che gli voglio bene, gli dono qualcosa di bello. Al contrario, un ti odio, fai schifo, sparisci, sono parole che feriscono e alle parole segue sempre un effetto reale». Ecco, la responsabilità digitale parte da qui ed include la famigerata trappola dell’omologazione, del diventare copia per essere accettati dagli altri: vestirsi come tutti, parlare come tutti, pensare come tutti. Il web alimenta tutto questo nell’idea che, per essere qualcuno, devi essere come gli altri, uccidendo l’unicità. «Chi vogliamo essere? Online e offline? Un anonimo spettatore o qualcuno che fa la differenza? Una copia o un originale? Una persona che guarda o una che si prende cura?». Con cinque domande che invitano alla riflessione collettiva e, che spronano i ragazzi a confrontarsi con se stessi e con gli altri si chiude il suo intervento.
![Paolo Bossi [foto Betty Poli]](https://mondopadano-naxos-space-250gb.fra1.cdn.digitaloceanspaces.com/mondopadano/stories/2025/11/14/internals/4251d120-ebf7-4aaf-8f73-063c6586d894.jpg)
MANUELA DE GIORGI
Gli aspetti giuridici del fenomeno vengono indagati dalla dottoressa Manuela De Giorgi, Primo Dirigente della Polizia di Stato e Dirigente del Centro Operativo Sicurezza Cibernetica Lombardia. Internet amplifica tutto e, se usato inconsapevolmente, anche un messaggio in chat può costruire o distruggere rapporti e relazioni. Purtroppo, ragazzi e adulti non comprendono il peso delle loro stesse parole e che dietro ogni schermo c’è un essere umano. Sembra banale? Eppure lo si dimentica. Spegnere lo smartphone o staccarsene provoca in molti ragazzi sintomi simili all’astinenza, eppure la dipendenza digitale non è un problema solo giovanile, ma della società nel suo complesso e non si risolve demonizzando la tecnologia, semmai imparando a governarla. Le forze di Polizia mettono a disposizione di ragazzi vittime di cyberbullismo molti mezzi: un sito “www.commissariatodips”, organi preposti alla vigilanza come gli istituti scolastici con i loro referenti e normative che, negli anni, sono diventate sempre più specifiche e dettagliate. Il referente per il bullismo, spesso un insegnante, è una figura formata e disponibile a intervenire, che diviene il primo punto di riferimento per chi ha paura di parlare o è restio a comunicare il suo malessere. La Polizia Postale è sempre disponibile all’ascolto, anche senza formale denuncia, al fine di monitorare situazioni di pericolo e intervenire se necessario. Parla chiaro la dottoressa De Giorgi. Serve cominciare a dare peso alle parole e serve coraggio per denunciare, perché se la responsabilità penale si ha a partire dai 14 anni, quella civile nei confronti dei genitori e quella disciplinare, attuata nella scuola, devono tutte convergere verso un fine comune: lavorare insieme per costruire una comunità educante. Non servono divieti, ma presenza e ascolto.
![Manuela De Giorgi [foto Betty Poli]](https://mondopadano-naxos-space-250gb.fra1.cdn.digitaloceanspaces.com/mondopadano/stories/2025/11/14/internals/a143af54-8e5e-4185-987c-2022935b7fe4.jpg)
CRISTINA BONUCCHI
Dello stesso avviso è la dottoressa Cristina Bonucchi, Direttore Tecnico Superiore, Psicologo della Polizia di Stato che avverte: «Non esiste insulto, foto o video che definisca chi siete. Ogni situazione si può affrontare e fermare. Chiedere aiuto non è segno di debolezza, ma di coraggio. E non si deve fare solo per sé: Si può chiedere aiuto anche per chi non riesce a farlo». Il silenzio è dunque il vero nemico, lo stesso silenzio che ha avvolto Carolina Picchio, citata come monito e responsabilità collettiva. «Essere ascoltati è un diritto, ma bisogna avere il coraggio di cercare la persona giusta». Il primo invito è dunque non arrendersi mai nella ricerca di chi sia disposto ad ascoltare, perché se manifestare le proprie emozioni è difficile, gli adulti non aiutano nel minimizzare ciò che provano i ragazzi. ggi Internet è una realtà fatta di persone. on è uno spazio neutro, è un ambiente in cui circolano emozioni, giudizi, ferite, violenza e il cyberbullismo si alimenta di silenzio e passività. hi assiste senza intervenire, anche solo rimanendo spettatore, contribuisce a fare male.
![Cristina Bonucchi [foto Betty Poli]](https://mondopadano-naxos-space-250gb.fra1.cdn.digitaloceanspaces.com/mondopadano/stories/2025/11/14/internals/fdf812d4-1cc4-4d97-8b13-510967697037.jpg)
ALESSANDRO ROSSI
«Disarmare animi e parole. Una responsabilità specifica spetta ai decisori politici e a quanti influenzano l’opinione pubblica, nel rifuggire dall’esaltazione dei contrasti piuttosto che nel coltivare dialogo e reciproca comprensione», sono le parole con cui il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella ha ricevuto, nei giorni scorsi, al Quirinale, Papa Leone XIV, e l’incipit dell’intervento di Alessandro Rossi, Direttore Responsabile di Mondo Padano. Rossi rilancia il discorso, richiamando i giovani a guardare al valore delle parole nell’informazione, a tutela di una convivenza civile sempre più fragile. L’invito è chiaro e urgente: è necessario recuperare responsabilità in un’epoca in cui il linguaggio è esasperato, distorto, aggressivo. Fare giornalismo significa, prima di tutto, interrogarsi sul contenuto e sul modo in cui i fatti vengono raccontati: una notizia dovrebbe essere un messaggio che informa senza preclusioni e da qui nasce la responsabilità etica di chi opera nei Media, per cui, la velocità non può sostituire la verità e l’emotività non può prevalere sull’equilibrio. «Come va data una notizia? La risposta è semplice quanto esigente: verificandola attraverso uno scrupoloso controllo delle fonti. Senza questo presupposto, ogni informazione si riduce a opinione personale o, peggio, a manipolazione». Un’informazione che cerca il clamore smette di essere servizio pubblico e diventa puro intrattenimento. Il giornalismo urlato alimenta la cultura della superficialità che avvelena il dibattito pubblico, rimuove il valore del pensiero critico. «È un errore credere che la velocità delle piattaforme digitali sia sinonimo di efficacia comunicativa: come operatori dell’informazione non possiamo arrenderci alla possibilità che i nostri ragazzi costruiscano opinioni solo sulla base di ciò che vedono sui social», sottolinea Rossi, poiché il web può essere risorsa straordinaria, ma può anche trasformarsi in un campo minato di disinformazione. Alessandro Rossi lega il ruolo dell’informazione all’educazione: la parola è relazione, con cui si definiscono legami e orientano comportamenti. Per questo, un linguaggio aggressivo è il primo passo verso una violenza anche fisica che può avere conseguenze gravi. Il fenomeno del cyberbullismo è un esempio evidente di quanto la parola diventi arma se usata senza coscienza: quindi il ruolo degli adulti diventa ancora più determinante. È necessario educare alla responsabilità, affinché non passi mai il messaggio che a prevalere sia la legge del più forte e una società sana si fonda sul rispetto reciproco, sulla mediazione, sulla capacità di ascoltare. La verità richiede coraggio, il dialogo richiede pazienza, ma solo attraverso di essi si costruisce una società civile degna di essere consegnata ai nostri figli. Principi, questi che si saldano con quelli che Fondazione Carolina porta avanti da anni attraverso un messaggio di rispetto digitale in tutta Italia. Una battaglia educativa e culturale. Perché il web non è solo un luogo virtuale, ma reale, in cui si può vivere o morire. Non sono solo statistiche, non c’è retorica, ma memoria e Carolina non è solo un caso di cronaca, ma responsabilità comune. Perché, se le parole fanno più male delle botte, di quelle parole, oggi, ne rispondiamo tutti.
![Alessandro Rossi [foto Betty Poli]](https://mondopadano-naxos-space-250gb.fra1.cdn.digitaloceanspaces.com/mondopadano/stories/2025/11/14/internals/b7b868ae-906e-4ad5-ba10-ba6fe9ec3025.jpg)
Beatrice Silenzi



