La giustizia riparativa si pone come forma alternativa di risoluzione del conflitto, basata sulla collaborazione tra offensore e parte offesa, in cui si punta al “rimedio” del danno più che sulla punizione da infliggere. Un discorso attuabile agli ampi panorami giudiziari, ma anche alle situazioni conflittuali della vita di tutti i giorni, come raccontano i quattro studenti del Polo scolastico “G. Romani” di Casalmaggiore, che hanno intrapreso il percorso previsto dal progetto nazionale “Tra Zenith e Nadir”, guidato nel Cremonese dalle cooperative “Cosper” e “Nazareth”. Per Anika Bedini, al secondo anno dell’Istituto professionale Servizi per la Sanità e l’Assistenza sociale, e per Andrea Passera, Aurel Seta e Mattia Giungi, al primo anno del Corso di formazione professionale Operatore elettrico, «la giustizia riparativa è assolutamente utile e attuabile nel contesto scolastico».
E proprio Anika spiega le fasi di questo percorso: «È iniziato lo scorso 16 ottobre, poco dopo l’inizio dell’anno scolastico, ed è tutt’ora in corso. Ad accompagnarci ci sono Luca e Andrea, due operatori della cooperativa “Nazareth” che ci aiutano a raggiungere l’obiettivo, che è quello di andare d’accordo tra di noi e con i nostri professori».
«È un percorso che ci aiuta a comunicare tra di noi», aggiunge Aurel, e, come sottolinea Mattia, «è necessario perché le persone cambiano a seconda del gruppo in cui sono inserite». Comunicazione, collaborazione, complicità, dialogo e relazione: tante strategie per il quieto vivere, ma anche per garantire a tutti una seconda possibilità. «La giustizia riparativa serve a far capire, a far cambiare idea e comportamento alle persone – spiega Andrea –. Deve essere messa in atto, ma al giorno d’oggi, è più difficile da attuare con le nuove generazioni». Un discorso condiviso da Anika, che parla di «generazioni molto “menefreghiste”, per le quali la giustizia riparativa serve solo per evitare la pena». «Ma per le persone veramente disposte a cambiare – aggiunge – è davvero molto utile».
Ma se le nuove generazioni sono viste, anche dagli stessi protagonisti, come “menefreghiste” e (...).
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