Andrea Franzini usa una metafora semplice, bucolica: «Lavorare con le persone è come bagnare l’orto appena seminato: non sai se la pianta crescerà». L’incognita è sempre lì, si ripropone ad ogni stagione e ad ogni tentivo, ma non è sufficiente a farti lasciare “gli attrezzi nel capanno”. Andrea Franzini è un educatore. Lo è da quando ne aveva 15 (allora come semplice volontario). Ne ha lavorati 20 all’estero, in Amazzonia, come coordinatore di un progetto di accoglienza per bambini e adolescenti usciti dalla tratta di persone. Oggi è coinvolto, per la cooperativa Nazareth, nelle attività di mediazione dei conflitti iniziate in quattro istituti della provincia (tre superiori e una scuola media), che vanno sotto il nome di “Tra Zenit e Nadir” (vedi box a fianco). I presupposti che le reggono sono mutuati dalla giustizia riparativa: ricomposizione dello strappo tra due parti attraverso dialogo e ascolto, condizioni indispensabili per capire, dice Franzini, «che quello che faccio io, negli altri può provocare emozioni e malessere che li allontanano».
Com’è la situazione nelle classi in cui lavora?
«Ci sono profili di complessità relazionali pesanti. Parliamo di difficoltà dei ragazzi nello star tra loro e con gli insegnanti. In alcuni casi si arriva ad insulti, minacce, anche aggressioni. Le attività che facciamo sono tutte legate in modo specifico alle “relazioni”».
Come si realizzano le attività?
«Il progetto prevede la divisione del gruppo classe in micro gruppi, con un lavoro su tutti gli aspetti della relazione. L’obiettivo non è portare i ragazzi a dire: io devo rispettare il mondo, ma costruire un percorso – parallelo a quello che facciamo con il gruppo dei docenti e dei coordinatori delle classi – in cui si ha più comprensione della propria identità e delle conseguenze del proprio agito».
Concretamente?
«Abbiamo lavorato sulla gestione emotiva, elaborando le emozioni che ogni ragazzo ha vissuto nella propria vita attraverso attività espressive con i colori. Abbinando questi alle emozioni vissute, il ragazzo ci descrive chi è. La relazione nasce qui, dalla consapevolezza che uno è “uno”, appunto. E’ unico. Il passo successivo è a capire i prof e viceversa: i prof devono capire che certi atteggiamenti dei ragazzi non sono frutto di un nulla, ma di storie, di vissuti. Aprendo questi cassetti della vita individuale lavoriamo sul (...)».
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