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Ornella Vanoni, brava interprete ma musicista “dilettante”

Ornella Vanoni in una delle sue ultime apparizioni

L’addio alla cantante L’omaggio a “reti unificate” riporta alla mente “l’Accademia” di Woody Allen

Confesso di non essere un patito di Woody Allen, probabilmente non sono abbastanza intellettualista, tuttavia ci sono alcune scene di suoi film che adoro, come quella in Manhattan in cui Isaac (lo stesso Woody Allen) e Mary (Diane Keaton) si incontrano e lei gli confessa di aver fondato l’Accademia dei sopravvalutati nella quale annovera personaggi che la gente idolatra, come il regista Ingmar Bergman, talvolta quasi per partito preso o perché “fa figo”, magari senza avere una reale capacità di giudizio critico. Una scena che ad esempio mi viene in mente ogni qualvolta le agenzie di stampa annunciano i trionfi internazionali di Andrea Bocelli, come quello recente in cui il presidente Milei gli ha conferito l’Ordine di Maggio, la più alta onorificenza argentina, e il nostro ha cantato alla Casa Rosada Bésame mucho accompagnandosi con una tastiera che neanche le Farfisa che ci regalavano a Natale negli anni Settanta... In ogni modo la premessa è per dire che la scomparsa di Ornella Vanoni è stata raccontata per giorni e giorni a “reti unificate”, come si diceva una volta. Non voglio fare lo snob, certamente lo meritava anche se – come ho scritto in questa rubrica in circostanze simili – le morti di Claudio Abbado o di Benedetti Michelangeli sono passate molto più in sordina. Certo, le canzoni dell’artista milanese hanno fatto da colonna sonora a tre generazioni di italiani, scandendo i cambiamenti di costume, magari favorendo la nascita di amicizie, di amori. Una canzone è come un profumo, ti avvolge per sempre e ti fa ricordare dove eri quel giorno a quell’ora, con la potenza che solo le emozioni sanno dare...
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Roberto Codazzi
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