Oggi un artista gode di stampa “buona” o “cattiva” in base allo schieramento politico
Lo diceva già Cicerone: “Non mi interessa se Cesare è bianco o nero”. Tradotto, per il famoso oratore e filosofo romano l’importante era fare le cose al meglio, non il colore dell’imperatore. E si riferiva al colore politico, ovviamente. Sono passati duemila e passa anni e c’è ancora chi parla di una cultura nera o rossa, ovvero di una cultura di destra o di sinistra, concetto che sinceramente non capisco, e non credo sia un mio limite cognitivo. Ogni tanto infatti la questione emerge ancora, ed emerge con modalità ridicole, a mio avviso. Prendiamo ad esempio l’ultima elezione di Trump: in campagna elettorale quello che sarebbe poi diventato presidente degli Stati Uniti ha fatto una miriade di convention in giro per gli USA ma non trovava quasi nessuno disposto a fare l’intrattenimento musicale. La maggior parte delle star si era infatti schierata apertamente contro di lui e il “povero” Donald si dovette accontentare – se così si può dire – dei Village People, storico gruppo dal sapore un po’ vintage ma soprattutto composto da cantanti dichiaratamente gay e legati alla comunità LFGB verso la quale paradossalmente il tycoon si era sempre invece dichiarato contro. Addirittura durante la cerimonia per il suo giuramento al Campidoglio si è esibito tale Christopher Macchio, cantante italoamericano di quelli che vanno molto forte a Little Italy, del tipo “pizza - spaghetti - mandolino”, per dare la stura a certi luoghi comuni.
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Roberto Codazzi

