Il caso più triste? Iva Zanicchi: mesto crepuscolo dopo una carriera luminosa
Mi ricollego idealmente all’articolo di settimana scorsa, nel quale criticavo le scelte “artistiche” portate avanti da Ornella Vanoni negli ultimi anni di vita, nel corso dei quali la cantante milanese si è trasformata in un personaggio da “talk” che non ha certo nobilitato i precedenti sessanta e passa anni di carriera. Il tema è vecchio quanto il mondo e già quel genio di Charlie Chaplin l’aveva messo al centro di un suo capolavoro, Luci della ribalta, una riflessione dolce-amara sul tema dell’artista che patisce inesorabilmente il trascorrere degli anni e si pone il problema del ritiro dalle scene. Il “quando” ciò debba avvenire è un fattore ovviamente soggettivo e nessuno può imporlo dall’esterno o in modo coercitivo. Talvolta sono le ciniche regole del “mercato” a indurre artisti al ritiro quando i loro mezzi fisici o interpretativi vengono meno, ma l’ideale sarebbe che ciò avvenisse in anticipo in funzione di una scelta ragionata e consapevole da parte dell’artista stesso, anche se parliamo di casi che si contano sulle dita di una mano perché dire “basta” è difficilissimo in personaggi che hanno passato una vita ad alimentarsi di adrenalina e applausi sulle tavole del palcoscenico. Nel campo della lirica, per esempio, dove il venire meno della voce è devastante – più ancora che nel campo dei vari generi musicali di intrattenimento -, uno dei pochissimi casi che mi viene in mente è quello del grande tenore spagnolo Alfredo Kraus, che si ritirò a seguito della morte dell’adorata moglie quando ancora il suo mitico “squillo” era adamantino, restando nel cuore dei melomani anche per l’integrità della sua condotta morale oltre che per la grandezza artistica...
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Roberto Codazzi

