Alessandra Carenzio, docente universitaria: «L'"effetto schermo" abbassa molti freni inibitori»
Oggi è universale lo sdegno per la violenza digitale consumatasi con le immagini pornografiche e le foto di donne, pubblicate senza consenso e ad insaputa delle medesime sul sito «Phica.eu» e sul gruppo Facebook «Mia Moglie». Oltre al profluvio di vergognosi commenti sessisti, scritti dai soliti “leoni da tastiera”, l’ombra del racket, con tanto di estorsioni e ricatti, pare allungarsi sull’intera vicenda.
Ma cosa c’è alla base di tanto squallore? Lo chiediamo alla professoressa Alessandra Carenzio, docente di Didattica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e membro del CREMIT-Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media, all’Innovazione ed alla Tecnologia dello stesso Ateneo.
Allora, professoressa, come spiegare le dinamiche sottese a tutto questo?
«Da sempre i social media ci hanno abituati ad un apparente anonimato, legato a una sorta di disinibizione legata all’“effetto schermo”: il fatto di agire dietro allo schermo abbassa i freni inibitori e abilita azioni che, nella quotidianità relazionale faccia a faccia, non verrebbero mai compiute materialmente. Rispetto ai due casi emersi, dunque, si attivano alcuni processi che possiamo ricondurre ad aspetti tipici del web sociale: l’anonimato (apparente, come sappiamo, ma percepito come tale), la disinibizione online legata, in particolare, ad una cultura possessiva e sessista, che (...)».
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16:51|September 5, 2025
Mauro Faverzani