Dai “thermopolia” in epoca romana ai banchetti con frittelle, carni e pagnotte nel medioevo
Camminando nelle scorse settimane per la città, riflettevo sul fatto che ogni anno l’inizio della primavera vede l’organizzazione di manifestazioni che arricchiscono di profumi e sapori le strade perché hanno per oggetto il cibo, nella declinazione che è comunemente conosciuta con il nome di street food. Confesso di non amare particolarmente gli anglicismi, ai quali preferisco i vocaboli della nostra lingua che, quanto a bellezza e significatività, nulla hanno da invidiare. In questo caso, però, faccio un’eccezione, poiché la traduzione “cibo di strada” potrebbe apparire riduttiva, sminuente della realtà alla quale è riferita. Continuerò dunque, mio malgrado, a parlare di street food come cibo semplice, che però non significa povero; veloce da preparare; consumato spesso nella strada stessa, in piedi o camminando: panini, pizza, focacce e piadine, patatine fritte, arrosticini, olive, in altre parole preparazioni legate non solo alla tradizione locale cremonese e più ampiamente lombarda, ma anche a quella delle tipicità regionali italiane, alle quali nel corso degli anni si sono aggiunte quelle della cucina etnica. Se fino a qualche decennio fa questo cibo era venduto da ambulanti e bancarelle provvisorie, oggi prevalgono furgoni perfettamente attrezzati per queste preparazioni alimentari....
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Emanuela Zanesi

