"I Puritani" al teatro "Ponchielli" il 4 e il 6 dicembre. Intervista al regista Daniele Menghini
«Siamo di fronte a un’opera nella quale si avverte che Bellini comincia a destrutturare le forme chiuse per avviarsi verso quella drammaturgia che si imporrà da lì a poco. Un Bellini che fa i conti con il suo essere uomo intriso di Romanticismo che quando guarda al passato lo fa non per tornare indietro ma per progettare qualcosa di completamente nuovo». Sta qui, nelle parole del regista Daniele Menghini, il senso del nuovo allestimento de “I Puritani” - in scena al teatro Ponchielli giovedì 4 dicembre alle ore 20 (e in replica sabato 6 alle ore 16) -, rappresentazione che ha curato insieme al suo giovane team creativo (come giovane è il cast composto in parte dai vincitori del Concorso Internazionale AsLiCo).
«Per me - continua Menghini - è stato chiaro da subito che avrebbe dovuto essere una proposta inedita che, in qualche modo, gettasse anche una luce nuova sui Puritani, una comunità fatta di bigottismo, di radicalità e di una sua specificità storica: così la rappresentazione arriva a essere crudelmente contemporanea pur lasciando aperto il dialogo con la tradizione». Scritta da Bellini poco prima di morire, nel 1835, l’opera fu subito un grande successo: lo stesso compositore disse di sentirsi “all’apice del contento”.

«Trovo la musica dei Puritani – spiega ancora il regista - di una bellezza struggente: una musica che non vuole “intrattenere” ma “trattenere”: pur essendo per certi versi virtuosa, pirotecnica non disdegna vuoti e sospensioni: anche su questo abbiamo lavorato con il direttore, Sieva Borzak. Aleggia, anche quando è lieve, un senso di oppressione: è come se tutto fosse stato messo a bagno nel nero, colore che ho voluto riproporre in scena».
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Carla Parmigiani

