Nell’Alto Medioevo mangiare molto era segno di potere e forza. Le indicazioni del Platina
L’approssimarsi delle festività di fine anno porta con sé l’idea della convivialità, della condivisione di cibo abbondante con cui realizzare lo stare insieme in armonia. Ritualità che non è affatto figlia del nostro tempo consumistico, ma che si è imposta fin dal Medioevo, quando i suoi eccessi spinsero le autorità comunali a disciplinare con ordinanze la materia. Quando si esaminano le fonti documentarie, si constata la tendenza a prendere in considerazione la tavola delle classi sociali elevate, mentre sono certamente poche le testimonianze legate alle classi più povere, soprattutto alcune cronache e atti notarili. Al contrario, a parlare di banchetti, di tavole imbandite, di menù sontuosi ci hanno pensato ricettari, conti di casa di famiglie nobili, trattati che hanno trasmesso un concetto di convivialità legato ad aspetti formali, direi “scenografici”, dell’organizzazione del banchetto, che assumeva la connotazione di status symbol, di ostentazione di potere e di prestigio. Nell’Alto Medioevo mangiare molto era segno di potere e di forza, in quanto possibile solo per coloro che di cibo potevano disporre in abbondanza. Lo prova persino Carlo Magno, per il quale, a detta del monaco Eginardo, suo contemporaneo, la cena di ogni giorno era solo di quattro portate, a parte l’arrosto, che i cacciatori erano soliti infilzare allo spiedo.
LEGGI IL SERVIZIO COMPLETO SULL’EDIZIONE DI MONDO PADANO IN EDICOLA FINO AL 15 GENNAIO 2026 OPPURE ABBONANDOTI SU WWW.MONDOPADANO.IT
Emanuela Zanesi

