Dal 18 marzo la mostra al Museo Civico di Crema e del Cremasco
Questo mese la Società Storica Cremasca cede volentieri il proprio consueto spazio su “Mondo padano” alle funzionarie di Soprintendenza Nicoletta Cecchini e Cristina Longhi, archeologhe curatrici dell’importante mostra che apre domani, sabato 18 marzo.
Inaugurerà sabato 18 marzo al Museo Civico di Crema e del Cremasco la mostra “La terra delle acque”, che racconta la storia dell’ambiente naturale del territorio cremasco nell’antichità e le sue trasformazioni collegate all’attività dell’uomo.
Sembra difficile poter portare in una sala i paesaggi del passato, immateriali, ed è certamente complesso anche solo poterli ricostruire: l’archeologia però lo permette, poiché presta attenzione anche ai più minuscoli elementi (pollini, semi, resti di legni) che a volte il terreno conserva.
Grazie al supporto della paleobotanica, dell’archeozoologia e della geologia riesce a leggere le vicende di una zona, individuando alvei di fiumi non più visibili, paludi oggi bonificate sulle rive delle quali gli uomini hanno costruito le loro dimore, tracce di colline che caratterizzavano il paesaggio in antichità e che adesso sono state livellate.
Per poter ricostruire un quadro corretto è essenziale che non vada perso nemmeno il più piccolo indizio, e questo avviene solo se tutti i dati che emergono dalle attività di scavo vengono raccolti, interpretati e immagazzinati con precisione. È indispensabile quindi che sia presente un’équipe di archeologi nei cantieri.
Per questo motivo la normativa di tutela dei beni culturali vigente in Italia prevede, in caso di lavori pubblici o in zone ritenute a rischio, che la Soprintendenza possa richiedere un’approfondita analisi del territorio tramite l’esame delle fotografie aeree o satellitari, lo studio geomorfologico, una ricerca storica e topografica, allo scopo di acquisire gli elementi necessari per valutare la possibilità di ritrovamenti archeologici. In base ai risultati di questa prima valutazione possono poi essere predisposte indagini preliminari per verificare la presenza di beni archeologici o richiedere la presenza di professionisti nei cantieri che ne evitino l’eventuale distruzione accidentale....
Sembra difficile poter portare in una sala i paesaggi del passato, immateriali, ed è certamente complesso anche solo poterli ricostruire: l’archeologia però lo permette, poiché presta attenzione anche ai più minuscoli elementi (pollini, semi, resti di legni) che a volte il terreno conserva.
Grazie al supporto della paleobotanica, dell’archeozoologia e della geologia riesce a leggere le vicende di una zona, individuando alvei di fiumi non più visibili, paludi oggi bonificate sulle rive delle quali gli uomini hanno costruito le loro dimore, tracce di colline che caratterizzavano il paesaggio in antichità e che adesso sono state livellate.
Per poter ricostruire un quadro corretto è essenziale che non vada perso nemmeno il più piccolo indizio, e questo avviene solo se tutti i dati che emergono dalle attività di scavo vengono raccolti, interpretati e immagazzinati con precisione. È indispensabile quindi che sia presente un’équipe di archeologi nei cantieri.
Per questo motivo la normativa di tutela dei beni culturali vigente in Italia prevede, in caso di lavori pubblici o in zone ritenute a rischio, che la Soprintendenza possa richiedere un’approfondita analisi del territorio tramite l’esame delle fotografie aeree o satellitari, lo studio geomorfologico, una ricerca storica e topografica, allo scopo di acquisire gli elementi necessari per valutare la possibilità di ritrovamenti archeologici. In base ai risultati di questa prima valutazione possono poi essere predisposte indagini preliminari per verificare la presenza di beni archeologici o richiedere la presenza di professionisti nei cantieri che ne evitino l’eventuale distruzione accidentale....
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00:00|March 16, 2023
Nicoletta Cecchini