A proposito dell’Italia – non vale soltanto per il nostro Paese, ma qui lo è in maniera particolarmente accentuata – si potrebbe dire che le elezioni sono delle variazioni “con voto” della campagna elettorale permanente. I partiti e i leader (soprattutto certuni e certune di loro) sono appunto “permanentemente” ingaggiati nel campaigning, e di quando in quando si affaccia nelle loro narrazioni qualche tematica specificamente Ue, al di là della frattura generalgenerica fra europeisti e sovranisti (con questa seconda identità rivendicata pubblicamente assai poco nel dibattito italiano, e molto più “praticata” nei fatti). Detta così, si potrebbe venire tacciati di avere il sopracciglio inarcato e di eccedere in severità e, invece – e aggiungiamo purtroppo – non siamo molto distanti dalla realtà, anzi. Perché a latitare nella campagna elettorale continentale di questo giugno 2024 sono stati innanzitutto i temi europei, per l’appunto, schiacciati dalla prevalenza di un’ottica domestica. Non è una peculiarità esclusivamente italiana, certo, accade in tutti i Paesi, dove le opinioni pubbliche vengono comunque sollecitate rispetto ai temi delle varie agende politiche nazionali, ma nel nostro cortile di casa succede in modo decisamente spiccato.
Le tematiche europee nel senso specifico sono entrate pochissimo, se non nella forma di alcune issues concrete divisive (le conseguenze e le implicazioni del Green Deal sulla messa a norma delle abitazioni), e di qualche questione che si presta a battaglie a elevato carattere simbolico e “a costo zero” (come l’alimentazione, le denominazioni protette del cibo e le famigerate farine di grillo)...
Massimiliano Panarari
Professore Associato
di Sociologia della Comunicazione
all’Università
degli Studi di Modena
e Reggio Emilia
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