Enrico Storti: primario di Terapia intensiva a Cremona, nel 2020 a Lodi
Il dottor Enrico Storti, oggi primario di Terapia intensiva e Anestesia di Cremona, nel 2020 dirigeva il reparto di Rianimazione dell’ospedale di Lodi, la provincia di Codogno, città simbolo della pandemia da SarsCov2 in Italia.
Dall’inizio del Covid, che lei stesso definì «un lunghissimo giorno che non finiva mai», sono trascorsi 5 anni. Era il 20 febbraio 2020, quando venne individuato il Paziente 1, Mattia, quali ricordi conserva di quei giorni concitati?
«Sicuramente ricordo il momento della diagnosi. Sebbene l’insufficienza respiratoria fosse chiara, era, tuttavia, incomprensibile cosa sostenesse le anomalie polmonari e come potesse un atleta come Mattia essere ridotto in quelle condizioni. Ricordo il disorientamento rispetto all’esito perché nessuno poteva neppure immaginare cosa sarebbero diventate le settimane successive. Era chiaro che quella minaccia lontana, si fosse materializzata in un piccolo ospedale lombardo: ho impressa nella mente la sensazione di dover affrontare nuovamente un nemico sconosciuto, dato che un’emergenza analoga risaliva ai primi del Novecento. Ricordo che tutto è accaduto molto rapidamente, in poche ore i malati erano tantissimi ed era necessario mettere mano a tutti i settori: i nosocomi di Codogno e Lodi sono stati velocemente ripensati negli spazi e nelle logiche operative e funzionali. Tutto questo ha fatto scuola. La nostra esperienza, tradotta anche in inglese, costituisce un valido modus operandi per gli ospedali di tutta Europa». ...
Dall’inizio del Covid, che lei stesso definì «un lunghissimo giorno che non finiva mai», sono trascorsi 5 anni. Era il 20 febbraio 2020, quando venne individuato il Paziente 1, Mattia, quali ricordi conserva di quei giorni concitati?
«Sicuramente ricordo il momento della diagnosi. Sebbene l’insufficienza respiratoria fosse chiara, era, tuttavia, incomprensibile cosa sostenesse le anomalie polmonari e come potesse un atleta come Mattia essere ridotto in quelle condizioni. Ricordo il disorientamento rispetto all’esito perché nessuno poteva neppure immaginare cosa sarebbero diventate le settimane successive. Era chiaro che quella minaccia lontana, si fosse materializzata in un piccolo ospedale lombardo: ho impressa nella mente la sensazione di dover affrontare nuovamente un nemico sconosciuto, dato che un’emergenza analoga risaliva ai primi del Novecento. Ricordo che tutto è accaduto molto rapidamente, in poche ore i malati erano tantissimi ed era necessario mettere mano a tutti i settori: i nosocomi di Codogno e Lodi sono stati velocemente ripensati negli spazi e nelle logiche operative e funzionali. Tutto questo ha fatto scuola. La nostra esperienza, tradotta anche in inglese, costituisce un valido modus operandi per gli ospedali di tutta Europa». ...
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00:00|February 20, 2025