"GIOvedì GIOrnalismo GIOvani", l’intervento di Angelo Macchiavello, inviato di guerra: «Solo uno stupido non prova paura»
In un mondo in cui le guerre occupano le prime pagine dei giornali, avere l’occasione di confrontarsi con chi quegli scenari li vive in prima linea è un privilegio raro. Nella quarta conferenza di “GIOvedì GIOrnalismo GIOvani”, che si è tenuta giovedì 10 aprile nella sala conferenze di Informagiovani, quel privilegio ha preso il volto e la voce di Angelo Macchiavello, storico giornalista e inviato Mediaset, abituato a raccontare i conflitti senza filtri. Le sue parole non sono cronaca, ma testimonianza: «Non esiste lavoro più bello al mondo di quello del giornalista». E quando lo dice, Macchiavello non sorride per finta, ma perché lo pensa davvero.
La sua carriera è nata quasi per caso: «Mio padre era giornalista, scriveva per un quotidiano pomeridiano», ha raccontato il giornalista. Il suo primo articolo? Sul tennis, per una rivista di settore: «Si intitolava “Racchetta piccola o racchetta grande?”. Ho persino telefonato in Vaticano per sapere che tipo di racchetta preferisse il Papa. Da lì è partito tutto. Poi è arrivata la televisione, sempre per caso».
Una casualità che però ha aperto la strada a un lavoro durissimo, ma affascinante. «Il primo servizio mi mandarono a farlo vicino a Forte dei Marmi: ci fu un’alluvione, morì una famiglia e sembrava una roba da poco per il grande inviato che avevamo a quell’epoca, così mandarono me e da quel momento io non sono più rientrato in redazione...
La sua carriera è nata quasi per caso: «Mio padre era giornalista, scriveva per un quotidiano pomeridiano», ha raccontato il giornalista. Il suo primo articolo? Sul tennis, per una rivista di settore: «Si intitolava “Racchetta piccola o racchetta grande?”. Ho persino telefonato in Vaticano per sapere che tipo di racchetta preferisse il Papa. Da lì è partito tutto. Poi è arrivata la televisione, sempre per caso».
Una casualità che però ha aperto la strada a un lavoro durissimo, ma affascinante. «Il primo servizio mi mandarono a farlo vicino a Forte dei Marmi: ci fu un’alluvione, morì una famiglia e sembrava una roba da poco per il grande inviato che avevamo a quell’epoca, così mandarono me e da quel momento io non sono più rientrato in redazione...
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