Nuovo appuntamento con la rubrica: L'altro violino
Gli intellettuali si sono sempre un po’ vergognati di guardare il Festival di Sanremo. Come quelli che si vergognano di comprare i rotocalchi di gossip ma poi li vanno a leggere dal parrucchiere. Benché provenga da quel mondo della musica classica che queste manifestazioni le guarda dall’alto al basso, con snobismo e senso di superiorità, io la kermesse dell’Ariston l’ho sempre guardata. Pur essendone consapevole della leggerezza, spesso della superficialità, mi diverto a vedere questo carrozzone colorato dove la musica è talvolta un accessorio, con l’alibi di esserne la protagonista. Gli stilisti che vestono i cantanti, griffandoli di abiti e addobbandoli di gioielli - maschi compresi -, sono ormai più importanti degli autori delle canzoni e c’è da morir dal ridere di fronte all’ipocrisia dell’episodio di John Travolta, che è stato messo in croce per aver indossato un paio di sneakers senza occultarne la marca (peraltro quasi invisibile), quando a show ancora in corso gli uffici stampa delle principali griffes della moda inondano agenzie e giornali di comunicati, prontamente pubblicati, per farci sapere che Amadeus indossa giacche di Gai Mattiolo, Fiorello veste Armani, la Mannino abiti di Cavalli, e così via, alimentando una pubblicità non diretta ma indiretta, non occulta ma palese. Non mi piace nemmeno quando il palco dell’Ariston viene utilizzato per trattare temi civili e lanciare messaggi politici, la trovo una forma di strumentalizzazione, non mi pare il posto adatto....
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00:00|February 15, 2024
Roberto Codazzi