Tra risarcimento, segnale e occupazione Torna la rubrica: Le forme del vivere
In un tardo pomeriggio stavo perdendo tempo in una galleria d’arte, quando, forse attirati dall’eccesso di luce che segnava il vicolo dalla vetrina, sono entrati due giovanissimi, e cortesemente, con la leggereza che solo età e impudenza relazionale consentono, chiesero di cosa si trattasse. Fu come se in me si spegnesse di colpo la luce su un mondo di apparenti o supponenti certezze, e si accendesse invece l’esigenza di mettere ordine ai pensieri, di comprendere se quelle che mi erano sempre apparse come incontrovertibili certezze della storia avessero un qualche riscontro nell’esperienza sensibile della vita di tutti i giorni, di questa vita di tutti i giorni, pregna di contraddizioni, popolata da generazioni sempre più fra loro mute, ma con tante interrogazioni che facciamo fatica addirittura ad ascoltare. E per me, come tanti altri privo di cultura specifica ma curioso di ogni significato, appare piena di contraddizioni la nozione stessa di “arte contemporanea”: nelle trattazioni più semplici comprende le opere e gli autori a partire dal secondo dopoguerra in poi, più precisamente dagli anni ’50 (con l’avvertenza che anche qui gli intrecci con le precedenti esperienze “moderne” sono tali e tanti da rendere impossibile un confine invalicabile alla trump, anzi contaminazioni e sovrapposizioni sembrano spesso la vera regola). Nell’accezione invece più problematica la contemporaneità è la caratteristica degli studi che hanno interesse per le “opere vive”, anche se inafferrabili e non ancora codificabili nè storicamente nè dialetticamente: come dire tutto o niente, ammesso che si abbia una qualche idea di come si attribuisca un valore o un quoziente artistico nel ventunesimo secolo...
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00:00|October 17, 2019
Eugenio Bettinelli