Nuovo appuntamento con la rubrica L'altro Violino di Roberto Codazzi
Non dico di morire in scena come Molière e nemmeno di fare stage diving - il tuffo nel pubblico delle rockstar tipo Jim Morrison - ma almeno un po’ più di empatia, se non proprio di passione o di partecipazione, visto che la vita degli artisti dopotutto si basa sullo scambio con gli spettatori, non solo di luce riflessa. E per dirla tutta, sono i fan a pagare i biglietti (decisamente salati) e a determinare cachet che nel caso specifico si aggirano sui 400 mila euro a concerto. Questa settimana voglio parlare di Bob Dylan, al secolo Robert Allen Zimmerman, uno dei songwriter più famosi della storia della musica, noto anche per la riservatezza e per la parsimonia. Parsimonia anche di sentimenti, a giudicare dall’esito dei tre recenti concerti tenuti in Italia, in sequenza a Lucca, Perugia e Roma, dove il cliché è stato il medesimo: telefoni cellulari sequestrati a ogni spettatore, palco poco illuminato con Dylan quasi nascosto dietro al pianoforte, concerto di un’oretta e mezza con 18 brani in scaletta e niente bis, un misero “grazie” alla fine e subito luci spente e tutti dietro le quinte. Una magra soddisfazione, insomma, per il pubblico adorante che da mesi aveva determinato il sold out in tutte e tre le tappe del tour italiano. Oddio, che il cantautore del Minnesota fosse tipo un po’ strano lo si sapeva. Per citare un aneddoto personale, qualche anno fa ho avuto la fortuna di poter visitare la stanza in cui Giuseppe Verdi ha alloggiato negli ultimi mesi di vita al Grand Hotel et de Milan....
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00:00|July 20, 2023
Roberto Codazzi