Il diritto allo studio fa un passo avanti. La Camera ha approvato mercoledì due mozioni - una di maggioranza a prima firma della deputata modenese del Pd Manuela Ghizzoni, componente della Commissione Cultura e Istruzione; una del M5S, a firma Gianluca Vacca - che impegnano il governo a modificare la disciplina vigente sulla contribuzione studentesca. Tra le misure indicate, l’istituzione di una «no tax area» per gli studenti con reddito familiare basso. Un provvedimento indispensabile, secondo entrambi gli schieramenti, per investire in quello che Ghizzoni ha definito «il nostro capitale più importante: l’intelligenza e la preparazione dei nostri ragazzi». «Le tasse universitarie in Italia sono troppo alte per troppe famiglie – ha detto la parlamentare Pd –. Occorre garantire la progressività dell’imposizione e la salvaguardia dei redditi bassi e del ceto medio impoverito: per questo abbiamo impegnato il Governo a definire una “no tax area” (che prevede l’esenzione totale dalle tasse universitarie), compensando gli atenei per il calo di gettito. Non servirebbero risorse ingenti, ma solo orientare una piccolissima parte del bilancio dello Stato a uno scopo da sempre trascurato: favorire un maggior accesso all’università delle fasce deboli della popolazione». Tra le altre misure proposte, la stabilizzazione delle risorse del Fondo integrativo per il diritto allo studio e il loro progressivo incremento, e interventi migliorativi nella ripartizione del Fondo di finanziamento degli atenei statali. Altri punti della mozione dei M5S approvato, l’attivazione dell’osservatorio nazionale per il diritto allo studio universitario e iniziative per agevolare lo studio a distanza.
In Italia, ha ricordato in aula Ghizzoni, abbiamo «la maggiore dispersione scolastica in Europa, la minore percentuale di accesso all’università, il minor numero di laureati nella fascia 25-34 anni tra tutti i Paesi dell’Ocse: segni di una società largamente sotto-scolarizzata». Di qui la necessità - recentemente invocata anche dal presidente del Consiglio - di interventi stringenti per consentire un più ampio accesso agli studi superiori e per ripartire con sempre maggiore equità i finanziamenti agli atenei statali, soprattutto per colmare i divari territoriali. Perché se dal prossimo anno (dopo il decreto della ministra Stefania Giannini, che per il 2016/2017 ha elevato le soglie massime di Isee, l’Indicatore della situazione economica equivalente e Ispe, l’Indicatore della situazione patrimoniale equivalente), sarà più facile per gli studenti universitari disagiati e meritevoli accedere alle borse di studio, non lo sarà per tutti. Perché ad erogare i contributi per il diritto allo studio sono le singole regioni, che possono adeguarsi o meno al decreto numero 174 dello scorso 23 marzo. A rimanere indietro sarà ancora una volta il meridione. Link-Coordinamento universitario ha recentemente fatto la fotografia di un Italia spaccata in due. «Ad oggi - afferma Alberto Campailla, portavoce di LINK - solo Emilia Romagna, Piemonte, Lazio e Abruzzo hanno già emanato la delibera regionale che ha spostato le soglie portandole a coincidere con il massimale nazionale (23mila di Isee e 50mila di Ispe).
Gli studenti di Link stanno portando avanti una campagna chiamata «All In»per raccogliere firme per la proposta di una Legge di iniziativa popolare sul Diritto allo
Studio. Fra gli obiettivi, reali agevolazioni tariffarie sulle mense, sul trasporto locale, sull’accesso alla cultura, canoni calmierati per gli alloggi. Ma anche l’istituzione di una «no tax area» per chi ha un’Isee inferiore ai 28mila euro. Un’operazione che, hanno calcolato, significherebbe esentare il 39% degli studenti e costerebbe 650 milioni di euro, da ricavare da un incremento del Fondo di Finanziamento Ordinario.
Sul passaggio parlamentare, positivo il commento dell’Unione degli Universitari: «Da anni - dice il coordinatore, Jacopo Dionisio - denunciamo costantemente le carenze del sistema universitario italiano. L’approvazione di queste mozioni è un passo significativo, ma non può che essere il primo. Ora chiediamo al governo di assumersi la responsabilità di mettere in campo delle revisioni importanti del sistema di funzionamento del sistema universitario, e soprattutto, di ascoltare con attenzione le parti coinvolte, a partire proprio da noi studenti».
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