Successo al calor bianco per il Mahler interpretato
dalla Swedish Radio Symphony Orchestra
Difficile assistere ad ovazioni intense come quelle di venerdì sera, il 15 marzo: al Ponchielli gli applausi piovono letteralmente come grandine. Protagonista indiscusso di questo entusiasmo è il giovane Daniel Harding, direttore che stupisce la platea con una Quinta di Mahler di assoluto rilievo: asciutta, diretta, espressiva e, soprattutto, depurata da quei detriti di retorica che ne fannoo talvolta una cartolina del sentimentalismo più corrivo. Spiccano macroscopicamente lo Scherzo e il celebre Adagietto: al primo la bacchetta di Harding imprime una vena danzante fatta di continue, esitanti e delicate oscillazioni - è il congedo del Valzer che sta per dissolversi in una Vienna Fin de siècle – al secondo ridona coerenza e discorsività grazie ad un metronomo (finalmente) logico. Addio estenuanti e lattiginose nenie allungate oltre misura. L'ossatura armonica dell'arpa suggerisce la 'vera' pulsazione di questo movimento, mentre il canto a note lunghe del violoncello lo fa risuonare come un Notturno trasfigurato e allucinato. Eccellente la prova fornita dall'ensemble svedese, davvero impeccabile e affiatato. Una bravura che non si può però disgiungere dalla regìa che parte dal podio: durante la Symphonie funébre di Joseph Martin Kraus il timbro cavato da Harding sembra originarsi da un'orchestra diversa. Il colore è scuro, ovattato, tanto che nel Corale del terzo movimento pare che gli archi suonino con la sordina. Sta anche qui, secondo noi, la qualità più apprezzabile del conduttore: è un'arte che parte dal verso esattamente opposto a quello di altri musicisti. Molti enfatizzano, colorano, amplificano. Harding procede per sottrazione: razionalizza, toglie e semplifica. Come uno scultore.
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