perderemo i nostri giovani migliori»
L’università ha contribuito alla crescita del territorio. I futuri ingegneri trovano lavoro ben prima della laurea e le aziende se li contendono già quando non sono che semplici studenti. Proprio per questo bisogna continuare ad investire sulla formazione, sulla ricerca e sull’innovazione. Perchè altrimenti - osserva Gianni Ferretti, prorettore del Politecnico di Cremona - rischiamo di perdere i nostri ragazzi migliori.
Professore il 97% dei vostri iscritti trova lavoro entro un anno dalla laurea. Oggi come un tempo diventare ingegnere è una garanzia?
Abbiamo appena concluso un Open day, il secondo dopo quello di aprile e devo dire che i segnali di interesse sono immutati. I ragazzi arrivano da noi già molto informati grazie ad internet e alle attività che realizziamo nelle scuole durante i quali presentiamo i nostri corsi di laurea. Gli iscritti all’anno 2012/2013 sono 360, mentre le nuove immatricolazioni inizieranno proprio in questi giorni.
Quali sono le specializzazioni più gettonate?
Devo dire che la fugura dell’ingegnere informatico è richiestissima, a tal punto che non riusciamo a soddisfare la domanda di tutte le imprese. Ma anche ingegneria gestionale riscuote un alto gradimento. Certo, a guardare i numeri dell’ultimo anno, su 61 offerte di lavoro, 46 riguardavano ingegneri informatici e negli ultimi sei mesi su 30 offerte, 22 riguardavano sempre questa figura.
Quali sono i settori dove trovano normalmente un posto di lavoro?
Imprese con caratteristiche differenti fra loro, ma soprattutto quelle che operano nell’Ict e nell’automazione.
In una provincia la nostra quante sono le aziende che operano in questi comparti?
Più di quanto si creda. Anche per il contributo della nostra università, nel tempo in questa provincia si è sviluppato un tessuto signficativo di imprese che operano nell’Ict a tal punto che, in questo settore, Cremona offre molte opportunità.
I vostri studenti hanno una formazione di base scientifica oppure no?
Un tempo era quasi sempre così. Chi si iscriveva al Politecnico arrivava soprattutto dallo Scientifico e dall’Itis. Oggi le cose sono cambiate e ci arrivano studenti un po’ da tutte le scuole, molti dal Classico.
Un polo universitario - sono parole sue - ha senso solo se è di stimolo allo sviluppo del territorio in cui è inserito. A che cosa sta lavorando il Politecnico di Cremona?
Due iniziative molto importanti sono la Fabbrica della Bioenergia e il laboratorio di acustica presso il Museo del Violino. Con il primo progetto ci siamo dotati di un laboratorio molto avanzato che ci consente di fare ricerca anche al servizio delle aziende interessate all’utilizzo dei sottoprodotti per la produzione di energia. Il laboratorio di acustica, inaugurato proprio mercoledì al Museo del Violino, è un progetto legato ad un altro laboratorio per lo studio dei materiali appannaggio dell’Università di Pavia. Ormai i laboratori sono stati completati al 90% ed entro settembre, in occasione dell’inaugurazione del Museo del Violino, avranno la piena operatività.
Il Politecnico è sinonimo di eccellenza. Ma bisogna dire che in Italia l’ottimo livello di preparazione garantito dall’università non gode di lauti sostegni finanziari, nè di tipo pubblico, nè di tipo privato.
Fortunatamente il Politecnico si autofinanzia anche grazie al contributo delle aziende. Ma se devo vedere una lacuna del sistema-Paese la ravviso nella mentalità troppo vecchia con la quale ci si approccia al lavoro.
Cosa intende dire?
Il modello da seguire dovrebbe essere quello tedesco dove esiste una struttura formativa sostanzialmente perfetta, ben distinta tra formazione professionale e universitaria, ognuna della due ben definita e con pari dignità e perfettamente inserita nel contesto economico ed imprenditoriale.
E in Italia?
In Italia, invece, siamo ancorati ad un sistema di valutazione dell’università ormai desueto proprio mentre in Europa tutti gli altri lo stanno abbandonando. Un metodo che, peraltro, non è assolutamente in grado di garantire il merito.
Finanziamenti e metodi di valutazione a parte, come sta l’università italiana?
Le risponderò con questa considerazione: i nostri ragazzi sono tutt’ora ricercatissimi all’estero, sia dalle università che dalle aziende. E sa perchè? Perchè hanno un’ottima preparazione garantita dal fatto che in Italia il livello della stragrande maggioranza delle università è medio-alto. Poi, certo, non abbiamo le eccellenze del calibro del Mit o di Harvard, ma anche qui c’è da intendersi.
Ci spieghi professore.
Negli Stati Uniti ci sono pochissimi poli d’eccellenza che godono di finanziamenti stratosferici ma che hanno d’altro canto delle rette elevatissime. Poi ci sono tutte le altre università di livello molto basso. Tutto sta a decidere quale modello di università si vuole.
Lei per quale propende?
Sicuramente per il nostro che, per quanto male si possa dire, fa comunque parte del 5% delle migliori università a livello mondiale, ma con costi molto più bassi rispetto a quelli inglesi o americani. Basterebbe paragonare le rette di un’università pubblica italiana con quelle dei poli universitari statunitensi. Ovviamente mi riferisco a quelli che offrono lo stesso livello formativo dei nostri. Io sono per una diffusione la più ampia possibile di una buona formazione universitaria. Poi, sono i fatti a dimostrarlo, chi è più bravo degli altri emergerà e potrà anche aspirare a specializzarsi in un polo d’eccellenza.
Professore un’ultima domanda: se avesse la bacchetta magica e potesse cambiare qualcosa ndall’oggi al domani cosa sceglierebbe?
Non ho dubbi: sbloccherei le assunzioni in università, ferme ormai da più di due anni. La precarizzazione dei ricercatori è stata estremizzata. E’ giusto che un ricercatore sia precario. Ma se dopo tre anni ha dimostrato di valere bisogna potergli garantire un contratto. Se no se ne va all’estero. E’ un grosso rischio perchè stiamo perdendo i nostri ragazzi migliori.
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