Siamo però ancora ben lontani dallo strumento di pagamento così come lo intendiamo oggi. La civiltà romana era, almeno agli albori, caratterizzata da un’economia molto semplice basata su allevamento e agricoltura. Gli scambi piuttosto limitati venivano regolati con l’aes rude dei semplici pezzi di rame, informi, senza un peso predeterminato e senza un valore prestabilito. Ciò obbligava ogni volta a pesare l’aes per determinarne il peso e quindi il valore. Una volta conclusa questa operazione il valore della moneta veniva rapportato a quello dei beni scambiati. Si capisce bene che più che una compravendita si era in presenza di un baratto un po’ più complesso: se il valore dei beni era equivalente a quello dell’aes la transazione era chiusa. Ma se i due valori non coincidevano o aumentava la quantità di beni o, con tutta probabilità, si procedeva, con tutte le difficoltà del caso, alla divisione dell’aes (il credito non era ancora un concetto diffuso). Insomma, ancora una volta, velocità, comodità ed equivalenza dei valori in gioco non erano i presupposti fondamentali per condurre in porto la compravendita. Ma proprio perché l’uomo tende sempre a semplificarsi la vita – ed i romani non erano da meno – essi pensarono che l’idea di regolare gli scambi di beni tra loro molto diversi con un qualcosa che fosse invece più omogeneo nel peso e nel valore e quindi alla portata di tutti, avrebbe sicuramente semplificato i conti e velocizzato gli scambi...
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