Prigionieri in casa è una metafora della condizione esistenziale che stiamo sperimentando un po’ tutti da circa due mesi a causa del coronavirus. Fuor di metafora, si passa alla realtà: la realtà carceraria, quella abitata dai detenuti, dalla polizia penitenziaria e da operatori a vari livelli. Da sempre percepito come un “altro” mondo, distanziato dalla società civile, aveva fatto parlare di sé agli inizi della pandemia, al tempo delle prime restrizioni che avevano portato al blocco dei colloqui con i familiari: le cronache avevano registrato le gravi tensioni sorte in diversi istituti penitenziari e tra questi anche a Ca’ del Ferro. Sedate le rivolte, più nulla, tranne le notizie di un contagio a Milano, poi a Bologna, e pochi giorni fa anche a Verona, che hanno riaperto il dibattito sui rischi e sulla condizione dei detenuti al tempo dell’emergenza dove la necessità del distanziamento mal si combina con il sovraffollamento, che da sempre contraddistingue gli istituti di pena.
Attualmente nella Casa Circondariale di Cremona ci sono 418 detenuti. «C’è da dire - spiega Rossella Padula, direttrice del carcere di Ca’ del Ferro - che, in questo periodo, sono diversi i carcerati che sono usciti usufruendo di misure alternative. La Magistratura di Sorveglianza con la collaborazione del Carcere e grazie alle ultime normative in tema di detenzione domiciliare si è adoperata moltissimo affinchè tutti coloro che erano nelle condizioni giuridiche di pena indicate e che avevano dei riferimenti all’esterno potessero andare in detenzione domiciliare. A questi vanno aggiunte anche le persone che si trovavano in condizione di salute tali da richiedere o una detenzione domiciliare oppure un differimento di pena»...
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