della tecnologia
il suo ultimo libro
L’idea nasce nella letteratura di fantascienza agli inizi del Novecento. Viene ripresa successivamente dalla Nasa, negli anni Cinquanta, con il fine di creare un cibo per gli astronauti: la carne coltivata. Oggi - viene prodotta a partire dalle cellule di animali coltivate in laboratorio - è disponibile nei mercati di Singapore, negli Stati Uniti e in Israele. Il libro della ricercatrice cremonese Arianna Ferrari, autrice di “Carne coltivata. Soluzione a tavola?” (edizioni Fandango) discute diversi aspetti di questa innovazione attraverso un linguaggio accessibile al grande pubblico. Il testo della nostra concittadina non si sofferma solo sulla sofferenza animale e sulle conseguenze degli allevamenti intensivi ma intende fare chiarezza su almeno due punti, ancora poco metabolizzati: la differenza fra sano e naturale e la tecnica, vista come qualcosa di alieno all’uomo.
Dottoressa Ferrari, il tema della carne coltivata si è fatto sempre più divisivo: le posizioni vanno dal rifiuto ideologico per tutto ciò che è alimentazione artificiale all’apertura verso l’innovazione tecnologica. Termini come ‘carne sintetica’, ‘artificiale’ o ‘coltivata’ contribuiscono a suscitare un atteggiamento di diffidenza tra i consumatori, indotti a percepirla come un prodotto da evitare a tutti i costi. È così?
«Sì. Un capitolo, il secondo, è dedicato proprio a questo: il termine corretto è carne coltivata, poiché prodotta attraverso un procedimento di bioingegneria e non di sintesi. L’aggettivo ‘sintetico’ sottintende qualcosa di artificioso e non positivo. La scelta di utilizzare un termine piuttosto che un altro è un comportamento che influisce sulla percezione di questa tecnologia. Definire gli àmbiti di ciò che è naturale o artificiale presuppone un retroterra filosofico, scientifico e include molte osservazioni mutuate dal campo della psicologia del consumo. Ci sono molti scritti, in filosofia, sulla Natura e su ciò che è naturale. Esiste una Natura al di là dell’intervento umano?...
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